My discotheque Juliet teenage dream
Feb. 29th, 2020 09:43 am![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Personaggi: APH Inghilterra; NYO Francia
Rating: Teen and Up Audiences
Tags: Alternative Universe_Humans, Punk and Prep AU
Prompt: You are a shiver, the gold and the silver
Note: Il prompt era abbastanza ampio che ho deciso di interpretarlo per il modo in cui Arthur vede Céline (che poi faccia lo scontroso è un altro discorso)
Arthur continuava a pensare che per la birra che aveva appena buttato giù quello che aveva pagato fosse un furto bello e buono.
"Te lo dico, questa roba è peggio del piscio del mio gatto" annunciò a voce abbastanza alta perché tutti possano sentire, serrando le labbra in una smorfia di disgusto. Poco importava che ci fossero tre boccali già vuoti in fila sotto il suo naso, più un quarto, finito a metà, che stava tenendo in mano.
Parlando del gatto, a essere precisi non era proprio il suo. Non esattamente. Soltanto la scorsa settimana un randagio aveva deciso di saltare dalla finestra in cucina per mettersi a rovistare tra gli avanzi che Arthur aveva dimenticato sul piano cottura, e il cibo doveva essergli piaciuto abbastanza da decidere di ritornare il giorno dopo e insediarsi. Giusto l'altro ieri Arthur lo aveva trovato acciambellato al centro del suo letto, a soffiare e a ringhiare al primo tentativo di levarselo dalle scatole. E di nuovo, quella mattina, nemmeno il tempo di aprire le ante ed eccolo a miagolare in bagno.
"Strano paragone. Avete esperienza diretta?"
Le labbra di Arthur erano ancora sporche dell'ultimo sorso quando nella coda dell'occhio si accorse che qualcuno era andato ad occupare lo sgabello alla sua sinistra. Prima che potesse ribattere, una mano femminile si era già impadronita del suo boccale per restituirlo secondi dopo, vuoto; era una mano elegante, unghie laccate, da manicure.
"Sì, fa decisamente schifo" continuò la voce di prima, la cui tendenza a strascicare la r e ad allungare e arrotondare le vocali stava già causando ad Arthur tanto brividi di fastidio quanto un improvviso afflato d'orgoglio nazionale.
"Questa birra va benissimo, grazie tante" sibilò con enfasi, ancora senza voltarsi, facendo segno al barman di volere un altro giro. Nella coda dell'occhio, la curva di un gomito, quindi l'irritante sbuffo di una risata
"Oh, devo aver frainteso."
"Non mi sorprende" disse, girandosi finalmente verso la voce, trovandosi faccia a faccia con una donna fin troppo tirata a lucido per l'ambiente. Arthur era certo di aver già visto quell'abitino di seta nera in una delle vetrine del centro con un cartellino del prezzo per cui quattro dei suoi stipendi messi insieme non sarebbero bastati. Senza contare le scarpe, sandali di una qualche marca che Arthur non riusciva a identificare a colpo d'occhio, ma nessun dubbio che costassero come minimo due mesi del suo affitto.
"Il ristorante a cinque stelle è un isolato più avanti."
"Siete sempre così scontroso?" ridacchiò lei. Quando scosse appena la coda - perfetta, il risultato di ore dal parrucchiere - ad Arthur arrivò la lieve traccia del suo profumo, una fragranza intesa, floreale, di quelle contenute in elaborate boccette gioiello che era impossibile trovare a meno di cento sterline.
"No, solo con chi mi sta antipatico" borbottò nel proprio boccale, distogliendo volutamente lo sguardo per sottolineare la propria indifferenza.
"Ma ci siamo appena conosciuti!"
Anche senza voltarsi Arthur sapeva che la donna doveva avere il mento poggiato sul palmo della mani, le labbra increspate in un sorrisetto. Ci avrebbe scommesso che stava sbattendo le ciglia.
"Ed è già sufficiente" insistette, ostinandosi a guardare fisso davanti a sé, nella speranza di offenderla abbastanza da farla demordere e andare a ronzare da qualche altra parte.
"Contento tu. L'essere troppo acidi fa venire l'ulcera, lo sai."
"E i troppi zuccheri il diabete." Gettò indietro la testa per raggiungere le ultime gocce in fondo al suo quinto boccale,
"Be', contento tu. Alla fine, ho cose migliori da fare."
"Sì, tipo?"
Arthur non ebbe alcun dubbio che il modo in cui la donna si fermò nella sua camminata da passerella, girandosi con deliberata lentezza, fosse frutto di un preciso calcolo. Una ciocca di capelli biondo cenere scendeva lungo un collo dalla pelle candida, le labbra in un profilo perfetto. "Balli?" formularono.
"Tu?"
Prima che Arthur potesse rendersene conto, la donna l'aveva afferrato per un braccio e tirato fino in pista dove la gente più che ballare si stava strusciando in una maniera già ai limiti della decenza. Nel prenderle la mano, Arthur sentì le labbra tirarsi in un sorrisetto di supponenza. Era impossibile che durasse con i tacchi che indossava. E quando si sarebbe arresa, lui sarebbe potuto tornare a bere in pace. Quando a lei, ovunque preferisse, finché fosse lontano da lui.
Cinque minuti dopo, cominciava a dubitare del proprio piano.
"Cosa c'è?" rise lei, volteggiando con grazia, come se stesse indossando delle comode scarpe da ginnastica e non un dannato paio di tacco dodici.
"Niente, immaginavo solo il disastro che saranno i tuoi piedi domani mattina" ribatté Arthur, il viso per una manciata di secondi a millimetri da quello di lei quando si scambiarono di posto.
"Invece i tuoi?" Apertura, giro, ritorno alla posizione di partenza. "Quegli anfibi sembrano davvero scomodi."
"Per te, forse" Arthur le soffiò in faccia per ripicca, quando i passi del ballo li riportano vicini.
"Oltre che davvero brutti" continuò lei imperterrita, tirandolo a sé con un occhiolino scherzoso per strusciarsi contro di lui, in maniera assolutamente intenzionale.
Era un invito che Arthur alla fine avrebbe anche accolto - la donna era irritante ma sembrava sapere il fatto suo e chissà che qualcosa di buono non ne saltasse fuori. Tanto più che odiava essere il giocattolo di qualcuno, soprattutto di una sconosciuta. Di norma era lui quello che a metà nottata si trovava a trascinare il rimorchio di turno nel primo bagno disponibile per inchiodarlo al muro.
Gli fu presto chiaro che lei non sarebbe stata così facile. Guardare, ma non toccare, sembrò dire il modo in cui lei si sottrasse a lui con un paio di passi all'indietro, sempre perfettamente a ritmo con la musica.
Le tintinnavano gli orecchini, riflessi d'oro e d'argento ogni volta che ancheggiava a destra e a sinistra, con le sfere stroboscopiche che l'avvolgevano in un bagno di luce. Anche Arthur aveva una lampa giusto sopra la testa, ma nonostante l'argento delle borchie e di tutte le catenelle appese al giubbotto non faceva lo stesso effetto.
In sottofondo la musica si era stabilizzata in un ritmo profondo, basso e costante che entrava nelle vene e rombava nello stomaco, il genere di brano che fa annullare le distanze e ondeggiare sul posto, i corpi millimetri dallo sfiorarsi. Per quanto detestasse ammetterlo, ls donna era un'ottima ballerina,
"Non male per essere sui trampoli" si concesse un complimento.
"Non male per essere uno stoccafisso."
D'accordo, Arthur sapeva di non essere il massimo sulla pista da ballo. Era la musica a essere il suo campo di interesse. Tuttavia, il saperlo era una cosa, l'ammetterlo con una sconosciuta un'altra.
"Mi è venuta voglia di una sigaretta."
Giusto una scusa per svicolare.
Fuori dal club l'aria era fredda e puzzava di marcio e rifiuti. Arthur aveva giusto fatto un paio di passi all'esterno e già qualcosa di scuro - un ratto, probabilmente - gli era passato sfrecciando sui piedi. Altro buon motivo per indossare dei solidi anfibi.
Gli si gelò il sudore addosso mentre accendeva la prima sigaretta, per fumarla più per la sensazione di avere qualcosa in bocca che per il sapore. La prima sigaretta era solo per abitudine, per la fame, niente di più. Quanto alla seconda, invece, valeva la pena di farla durare fino quasi a bruciarsi le dita.
"Ti verranno i denti gialli.
Di nuovo la donna di prima, ancora assolutamente impeccabile. "E le rughe" aggiunse, sottraendogli via al volo la sigaretta direttamente dalle labbra. Poi, a dispetto delle sue parole, ne aspirò una boccata con gesti troppo esperti per una non-fumatrice.
“Uhm” sospirò, tenendo il mozzicone morbidamente tra indice e medio in modo che la cenere non le cadesse sul vestito - “catrame.”
La smorfia di ribrezzo con cui gliela restituì era così ostentata da spingere Arthur ad accenderne una terza, giusto per sfida, soffiandole direttamente il fumo in faccia.
Strinse la sigaretta tra i denti, così da poter infilare le mani intirizzite nelle tasche del giubbotto. Un po' per abitudine, un po' per gravità la schiena andò ad appoggiarsi al muro umido dietro di lui. “Cos’è? Sei venuta solo per criticare?”
“Do solo qualche consiglio" rispose, con lo schiocco di un portacipria aperto, spingendo fuori il labbro inferiore con aria critica. Pescò un rossetto dalla pochette.
"Ho già una madre, grazie tante."
"Immagino non sia contenta. E comunque ci sono cose migliori del fumo."
"Tipo?"
Mordicchiò il mozzicone, mentre la donna terminava di applicare il rossetto, guardando con aria critica il proprio lavoro nello specchietto. Lo chiuse di nuovo con uno scatto.
“Tipo questo” sussurrò, gettando lo specchietto in borsa e chinandosi verso di lui
Pima di rendersene conto, le dita di lei gli avevano di nuovo sottratto la sigaretta dalla sua bocca per sostituirla con le proprie labbra. Passò con deliberata lentezza la lingua sui due cerchietti che Arthur aveva incastonati nel labbro inferiore.
Se non era un invito, Arthur non sapeva cosa fosse. Le afferrò la schiena, la pelle nuda fredda sotto le dita, giusto per rimediare un lieve calcio negli stinchi.
"Per chi mi hai preso scusa?"
Un'unghia laccata puntata al suo petto, la donna teneva la testa sollevata in maniera altezzosa, la schiena dritta e la posa impeccabile di una dea. "Esco solo con i gentiluomini, io" precisò, distogliendo appena lo sguardo e stendendo le dita davanti al naso per esaminarsi le unghie.
Arthur roteò gli occhi, "Hai sbagliato posto, allora."
"Gentile" replicò lei, passando a controllare la seconda mano.
"E abbigliamento" aggiunse. Sandali e abitino erano davvero troppo leggeri per stare fuori in quel periodo dell'anno, a quell'ora.
"Cosa sei, mio padre?"
D'accordo, questa doveva ammettere essere divertente. Sbuffò una mezza risata.
"Comunque" proseguì lei, "Questo dovrebbe essere il momento in cui mi dai quello." Indicò il giubbotto con un cenno del mento. Arthur sbuffò di nuovo e rise un po' più forte. "Puoi sempre rientrare". Indicò la porta giusto dietro di lei. Ora sarebbe tornata al calduccio, lui avrebbe fumato almeno una sigaretta in pace, e tutti contenti.
La donna non si mosse. Dannazione se aveva un modo di farlo sentire in colpa senza muovere un dito. Salutarla e lasciarla lì a gelare per qualunque motivo sarebbe stato facile. Invece di colpo Arthur aveva i piedi incollati all'asfalto sporco.
"Poi lo rivoglio" borbottò, sfilandosi il giubbotto in un tintinnio di ferraglia e passandoglielo quasi senza guardare. Vista l'aria critica con cui la donna soppesò, per un attimo Arthur fu tentato di riprenderselo e tanti saluti. Invece incrociò appena le braccia al petto e attese che lo indossasse. Le stava grande e faceva contrasto con il resto della sua mise elegante, però in un qualche modo le stava anche molto bene. Nel guardarla arrotolare le maniche, Arthur pensò che forse non sarebbe stata così fuori posto nei suoi circoli, col giusto abbigliamento, ovviamente.
"Rientriamo" propose di nuovo, ancora senza nessuna idea sul perché fosse voluta rimanere fuori. Lei si strinse appena nel giubbotto, tirando su la zip.
"D'accordo."
Dopo la relativa quiete dell'esterno, la musica a massimo volume unita al caotico chiacchiericcio fu un po' come uno schiaffo nelle orecchie per Arthur. Tempo pochi secondi, tuttavia, si era già abituato. Anni a frequentare locali e discoteche e il suo udito doveva essersi assuefatto. Al suo fianco la donna slacciò il giubbotto, senza però toglierlo. In ogni altra situazione Arthur ne avrebbe preteso la restituzione immediata. Questa volta si trovò a pensare di poter anche lasciar correre ancora per un po'.
"Vuoi tornare a ballare?" si scoprì a chiedere invece. Il brano che stava suonando faceva decisamente schifo, ma forse il prossimo sarebbe stato decente. Oppure si poteva tornare al bar a bere qualcosa in più. "La seconda" approvò lei.
Al bancone dei cocktail lo sgabello che Arthur aveva occupato prima era sorprendentemente libero. L'uomo non esitò a riprendere posto, mentre la donna gli diceva di cominciare a ordinare per lei - un martini, liscio - mentre andava a "rifarsi il trucco". Aveva ancora il giubbotto di Arthur. Poco male. L'uomo si girò a dare istruzioni al barman. Per lui un whisky, con ghiaccio, grazie. Tracciò il contorno umido del bicchiere con un dito, al suono delle lancette che ticchettavano il tempo.
Aveva giusto cominciato a credere che la donna avesse deciso di dargli buca - e rubargli il giubbotto - quando la coda di lei ondeggiò nuovamente davanti al suo naso
"Oh, grazie" disse, prendendo il proprio cocktail. Ancora nessun accenno a volergli restituire il giubbotto e di nuovo Arthur non lo chiese. Massimo si chiedeva se la donna non stesse morendo di caldo. Lui lo indossava al chiuso per abitudine e per partito preso e si trovava sempre con la maglietta fradicia. Contenta lei.
Po gli venne da pensare che lo stesse facendo apposta, una sorta di pescatore con l'esca. Stava decisamente funzionando. Che fosse stato Arthur a darle l'esca, poi, era tutt'altro discorso.
"Comunque, come devo chiamarti?" soffiò sopra il bicchiere.
I nomi in realtà non avevano mai avuto molta importanza, non in un nightclub dove i visi si susseguivano e si mescolavano senza una ragione. Alla fine le bocche e il resto rimanevano uguali, qualunque fosse il nome della persona di turno.
"Non do il mio nome agli sconosciuti."
Però ci balli, ti ci strusci, e li baci sulla bocca, pensò Arthur. Quello che disse, con un altro sorso di whisky, fu: "Arthur."
Lei parve soppesare il nome e le eventuali implicazioni. Il risultato non fu quello sperato, ma alla fine nemmeno così tanto una sorpresa. "Divertente. Ma ti dovrai impegnare di più."
"E chi ti dice che sia interessato?"
"Davvero?"
La risata di lei diceva tutto e dannazione se in parte - solo in parte - aveva ragione. A quel punto ci sarebbe stato molto di cui parlare, ormai appurato che lei non sembrava intenzionata ad andare da nessuna parte e, alla fine, nemmeno lui. No, per qualche misteriosa ragione, più cercava ancora di tagliare la conversazione, più lei trovava nuovi appigli, e più Arthur trovava meno pesante il conversare. Alla fine era quasi un piacevole diversivo, avere qualcuno che, accesa la miccia, gli stesse dietro per inventiva e parlantina. Tanto da sentirsi quasi deluso quando la donna disse di dover andare. Nessun accenno a dare mezzo numero di telefono, un recapito, mezzo nome. Per quanto riguardava Arthur, quella poteva benissimo essere l'ultima volta che la vedeva. Non che ci fossero problemi.
Valutò comunque l'idea di lasciarle il giubbotto come una specie di scarpetta di Cenerentola al contrario.
Ma questa non era una fiaba.
"Oh, quasi dimenticavo" disse lei. In pochi gesti l'indumento tornò in mano ad Arthur, che si accorse troppo tardi di aver potuto dare lui un numero o un indirizzo. Rise con sé stesso. Che idea assolutamente ridicola.
Gli serviva un altro whisky. Nell'infilare le mani in tasca giusto per controllare che fosse tutto in ordine, le dita si chiusero attorno a un foglietto che era certo non ci fosse prima. Lo lisciò sul bancone e vi lesse un numero di telefono e, poco più sotto, un nome, in una grafia svolazzante.
Céline.