Somersault
Feb. 25th, 2022 11:51 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Fandom: Hetalia
Personaggi: Hws Cina, Hws Russia
Prompt: La tigre e l’acrobata
Capitolo 1
L'idea era stata del direttore. "Farete un numero insieme, giusto quello che serve per aggiungere un po' di pepe alla serata. Il pubblico lo adorerà."
Non c'era stato molto spazio per le discussioni. Le regole del circo erano quelle, il direttore dettava legge e chi non era d'accordo poteva benissimo fare le valigie e andarsene. E il direttore sapeva che pochi avrebbero osato, quando la maggior parte erano reietti, rifiutati, scappati di casa che non avevano altro posto dove stare.
Per Yao, tuttavia, era stata più una questione d'orgoglio. Da anni ormai portava avanti il suo numero di contorsioni, salti mortali e altre acrobazie simili, impeccabile a ogni spettacolo, la centesima volta non peggiore della prima. Se ora il direttore si era messo in testa che voleva aggiungerci la tigre siberiana ammaestrata di Braginsky non sarebbe certo stato Yao a protestare.
Aveva faticato troppo per costruirsi una reputazione nell’ambiente per mandare tutto all’aria adesso; ingoiato troppo fango, ascoltato troppi insulti alla sua etnia fin quasi ad assuefarsi, sopportato troppi scherzi, gli spintoni casuali, le minacce velate.
C’erano voluti tre anni interi perché anche l’ultima ruota del carro della compagnia cessasse di fare commenti inappropriati sul suo aspetto delicato e femmineo. Anni di sacrifici, esercizi provati fino allo sfinimento perché nulla sarebbe mai stato abbastanza se non la perfezione assoluta.
Quando non impegnata nello spettacolo, la tigre di Braginsky passava le sue giornate in una gabbia in un angolino nel carrozzone dei felini, un po’ in disparte dalla coppia di leoni. Già sulla soglia il puzzo di animale selvatico, carne cruda ed escrementi era così forte da far lacrimare gli occhi a Yao.
In piedi davanti alle sbarre, un secchio di metallo appeso al polso, Braginsky non sembrava affatto farci caso. Come non pareva affatto preoccupato delle fauci della tigre a un respiro dalla sua mano.
Prendendo un grosso respiro, Yao fece un passo avanti e si schiarì la voce.
“Se dobbiamo fare un numero insieme sarà meglio iniziare a conoscerci.”
Aveva indicato la tigre con un cenno del mento, ma la frase poteva benissimo riferirsi anche a Braginsky. Quest’ultimo si aprì in un sorriso che Yao immaginava volesse essere amichevole, ma non poteva evitare di trovare lievemente inquietante. Giusto appena. A dispetto delle apparenze era troppo vecchio per farsi intimorire da un ventenne. Anche quando era grande il doppio di lui, aveva una tigre ammaestrata e si diceva che in un altro circo spostasse furgoncini a mani nude.
“Allora bisogna fare le presentazioni. Ma non stare laggiù.”
Con la mano che stava ancora tenendo un pezzo di carne, Braginsky gli fece cenno di avvicinarsi. Deglutendo contro il fetore Yao obbedì.
“Wang Yao” disse, con un breve cenno della testa, “ma questo lo sai già. Yao è il nome comunque.”
“Ivan Petrovich.” Braginsky si pulì la mano sulla stoffa dei pantaloni e gliela offrì. Yao la strinse rapidamente. Era grossa e appiccicosa. “Lei invece è Dunya.”
“Piacere, Dunya”
Impegnata a divorare il proprio spuntino, Dunya lo ignorò. Yao non poteva dire di dispiacersene. Ma era troppo intelligente per non sapere che era solo temporaneo. Pur non avendo specificato i dettagli, il direttore non si sarebbe accontentato di uno spettacolo dove lui faceva il suo numero in parallelo a quello di Braginsky senza interagire.
No, il pubblico voleva verticali in equilibrio sul dorso della tigre e salti mortali a un pelo dalle sue fauci.
Nel sentirle scattare con uno schiocco secco, un brivido percorse la schiena di Yao. Dallo sguardo che gli rivolse, Braginsky di sicuro se ne era accorto. Pescando un altro pezzo di carne lo allungò verso Yao.
“Così fate amicizia” disse, con voce allegra, quasi un bambino entusiasta di condividere il proprio giocattolo preferito. “Coraggio.”
Poi, mentre Dunya sollevava la testa dal pasto e mostrava i denti, “Non morde.”
Suonava fin troppo come una battuta. Yao deglutì. Non si sarebbe fatto intimorire da un gatto un po’ troppo cresciuto. La carne aveva un consistenza un po’ spugnosa sotto le sue dita, morbida e viscida.
“Devi venire più vicino. Sì, ecco, qui, in mezzo alle sbarre.”
Gli afferrò il polso per guidarlo, la presa gentile ma ferrea, finché Yao non ebbe quasi metà avambraccio nella gabbia e l’alito caldo di Dunya contro il proprio palmo. Denti giallastri luccicarono contro il nero delle labbra. Yao inspirò dal naso, lentamente, come aveva imparato a fare per calmarsi prima di un salto mortale o per rilassare il proprio corpo durante una contorsione. Dunya spinse in avanti il naso umido. Faceva il solletico.
Immobile, Yao sentiva il proprio cuore battergli nelle orecchie. Un movimento falso, un errore, e avrebbe anche potuto dire addio alla propria mano.
Invece con un lieve ringhio la tigre strinse la presa sul boccone e nient’altro. Yao ritirò di scatto la mano. Ivan emise un basso fischio di approvazione.
“Le piaci” fu il suo verdetto. Dunya li guardò con i suoi grandi occhi ambrati.
***
Ivan trattava Dunya come un uomo qualsiasi avrebbe trattato un cane o un gatto domestico. Del resto l’aveva trovata, adottata e addestrata da quando era solo una cucciola. Dunya non lo avrebbe mai ferito e rispondeva a ogni suo comando.
“Ferma.” La voce di Ivan era gentile ma ferma. Parlava in russo quando si trattava di Dunya, la lingua con cui l’aveva cresciuta prima di venire in America, immigrato come la maggior parte di loro.
Dunya si arrestò di colpo.
“Seduta.”
Con uno sbuffo, la tigre si lasciò cadere sulle zampe posteriori.
“Giù, a terra.”
La tigre si sdraiò.
“Ammirevole.”
Spazzandosi i pantaloni, Yao saltò giù dalla balaustra su cui si era arrampicato per raggiungere Ivan al centro della pista. Con un nuovo spettacolo da preparare, prima iniziavano a prendere le misure degli spazi, meglio sarebbe stato. Il direttore aveva dato loro circa un mese di tempo.
“Non che dubitassi.”
Aveva assistito più volte al numero di Ivan, visto il modo in cui riusciva a far fare cose incredibili a Dunya senza nemmeno l’uso della frusta, solo con fischi e schiocchi di dita. E sapeva anche che in caso di necessità sarebbe bastata un’occhiata perché il felino si lanciasse all’attacco.
Al momento stava solo rotolando sulla pancia, lo spirito di un gatto in un corpo troppo grande, le zampe anteriori piegate verso il petto.
“Sa stare ferma immobile, vero?”
Un’altra domanda retorica, ma valeva la pena controllare. Accovacciandosi per arruffarle il pelo, Ivan ridacchiò.
“Immobile come una montagna. Dunya, sulle quattro.”
Con un borbottio, la tigre sbadigliò, quella bocca così grande che avrebbe potuto inghiottire la testa di Yao senza difficoltà, tese la schiena flessuosa in tutta la sua lunghezza e camminò con passo lento fino al punto che Ivan le indicava.
“Cosa hai in mente?”
Yao fece un gesto vago, poi tirò le braccia sopra la testa. “Potrei provare a fare la verticale sul suo dorso.”
Le verticali erano una di quelle cose che pur relativamente facili non mancavano di affascinare il grosso del pubblico, soprattutto i bambini. E dalla verticale poi si sarebbe potuti passare a un paio di salti mortali, come inizio. Dall’espressione Ivan parve approvare
“Sei leggero, a Dunya non darai fastidio. Vuoi provare ora?”
Yao sospirò. “Meglio di no.”
Nonostante quanto avesse appena visto, non sarebbe salito sul dorso di una tigre senza essere prima sicuro che la tigre lo accettasse; che non si sarebbe voltata di scatto non appena avesse caricato il proprio peso su di lei.
“È come dici tu” spiegò, rivolgendo un piccolo sorriso a Ivan, “ci devo prima fare amicizia.”
***
Davano da mangiare insieme a Dunya ogni sera. Ivan aveva insistito, dicendo che era il modo più veloce perché la tigre si abituasse e affezionasse a Yao e Yao non aveva davvero trovato nulla da replicare.
Ogni due o tre giorni Ivan portava Dunya in uno spiazzo appena fuori dal tendone, la legava a un palo o a un albero, e passava ore a spazzolarle il pelo. “Per le pulci” aveva spiegato, lavorando a una sezione particolarmente arruffata dietro le orecchie dell’animale. La tigre fece le fusa.
Non c’era voluto molto prima che coinvolgesse Yao anche in quella operazione.
“Tu puoi occuparti delle zampe” disse. Gli passò un pettine dai robusti denti ferro e mostrò come fare. Titubante, Yao si accovacciò. Così la pancia di Dunya gli sfiorava la testa, ogni zampa grande abbastanza da coprire la sua faccia.
“Le piace soprattutto se la spazzoli qui.”
Premette il polpastrello contro il punto, più o meno a metà della potente gamba di Dunya.
"E attento a non spazzolare contro pelo."
Dunya sbuffò mentre Yao gli afferrava una caviglia per controllare sotto le zampe come istruiva Ivan. "Presa ferma. E non tirare."
"È una parola.”
Pur spazzolato così di frequente, il pelo di Dunya era fitto di nodi e l'animale ne perdeva a ciuffi. Presto i pantaloni e la giacca lucida di Yao ne furono ricoperti. Sembravano non finire mai.
Ivan non era messo meglio, ma la cosa pareva non disturbarlo. Scrollò le spalle, ridendo.
"Per così poco. È il minimo."
Faceva davvero un lavoro di fino, lavorando pazientemente su ogni zona finché il pettine non passava senza intoppi e poteva passare alla successiva.
Anche senza chiedere era facile intuire la ragione. Un animale ben curato era un animale più felice e un animale più felice era meno incline a mordere e attaccare.
Yao si piegò per controllare un ciuffo di pelo attorno alla caviglia della tigre dove il pettine continuava a bloccarsi.
"Meglio tagliare"
Ivan produsse dalla tasca della giacca un paio di forbicine. Con cautela Yao tagliò attorno al nodo. Dunya emise un sospiro soddisfatto.
"Sì, so che ti piace" tubò Ivan, il naso quasi contro quello di Dunya. Le afferrò le guance incurante delle zanne e le strofinò.
"Le piace anche essere accarezzata qui, sul sottogola."
Dal suo sguardo, era chiaro che volesse una partecipazione maggiore da parte di Yao che non limitarsi a ricevere l'informazione. Yao annuì
Dopotutto, progettava di stare in equilibrio a testa in giù sul dorso dell'animale. Si sperava che Farle i grattini fosse meno pericoloso.
"Li?" domandò, facendo cenno con la testa alla gola dell’animale. Ivan confermò. “Non preoccuparti, non ti farà nulla.”
Lo aveva già detto. Dopo quasi due settimane a contatto con la tigre Yao cominciava a crederci. Abbastanza da allungare con cautela la mano finché le dita non si immersero nella soffice pelliccia bianca e arancione. Strofinò la pelle sottostante, sentendo il muscolo e le vibrazioni delle fusa di Dunya. La tigre si spinse un poco di più verso la sua mano, gli occhi ambrati che pian piano si chiudevano. Ivan non aveva mentito.
Ma ormai Yao avrebbe dovuto saperlo.
“Domani mattina la pista dovrebbe essere libera. Possiamo vederci e cominciare dopo colazione.”
Ivan fece un cenno di approvazione.
***
“Sicuro che se la afferrò qui non le farò male?”
Per quanto avesse già fatto quella domanda. Yao preferiva andare sul sicuro. Non era la prima volta che faceva la verticale su un animale - c’erano state quelle occasionali sul dorso di cavalli e persino un elefante ed era sempre bene controllare. Certi errori raramente venivano perdonati.
“Sì” confermò Ivan, con Dunya che gli trotterellava dietro, “Dunya è forte.”
“Va bene, allora.”
Ormai Yao aveva rimandato abbastanza. Portò le braccia dietro la schiena, intrecciando le dita, sentendo i muscoli tirare. Le sollevò sopra la testa, proseguendo il movimento fino a curvare la schiena in avanti. Le mani toccarono il pavimento. Ripeté l’operazione in senso inverso, inarcando il corpo in un ponte. Premendo le mani contro la sabbia, si diede lo slancio per rimettersi dritto. E di nuovo in avanti. Contrasse i muscoli dell’addome e delle gambe e fece leva sulle braccia. Prima di fare qualsiasi tipo di verticale in equilibrio su una tigre siberiana voleva assicurarsi che il proprio corpo non lo tradisse.
In pochi secondi il mondo si ribaltò. Dopo anni era diventata quasi una visione familiare, una prospettiva conosciuta.
Si rimise dritto con un gesto fluido e colmò la distanza tra lui e Dunya con qualche rapido passo. La tigre scrollò la testa, in attesa, mentre Yao le girava attorno studiando il modo migliore per poggiare le mani. Alla fine, mettersi trasversalmente rispetto Dunya parve la soluzione più facile. Si impose di non chiudere gli occhi.
Il pelo di Dunya gli solleticò il naso per un momento prima che finisse di sollevarsi sulle braccia. La visione divenne a righe, bianco, nero e arancione. Tese le orecchie, pronto a cogliere il minimo accenno di ringhio, il più lieve avvertimento; ma la tigre sbuffò soltanto, ferma e obbediente. Non pareva curarsi del nuovo carico, delle dita contratte di Yao che scavavano appena nei forti dorsali; nemmeno quando Yao aumentò la pressione per avere sufficiente spinta per ritornare dritto con una piccola capriola. Atterrò perfettamente a piedi uniti al fianco di Dunya, che si scrollò dalla testa alla punta della coda.
“Direi che va bene.”
Per quanto non nutrisse troppe speranze che il pubblico si sarebbe accontentato solo di una verticale sul dorso di una tigre ferma. Le prime volte, magari, ma presto o tardi avrebbe iniziato a domandare qualcosa di più eccitante.
Come fare la verticale su una tigre in movimento.
“Questa volta falla camminare quando mi sono assestato. Puoi farlo?”
“Ovvio.”
La seconda verticale a dorso di una tigre fu giusto più facile della precedente. Col tempo, pregando contro incidenti sempre in agguato, avrebbe imparato il punto esatto dove mettere le mani per avere la presa migliore, la superficie flessuosa del felino ben diversa da quella liscia e stabile di una pista. La visione divenne di nuovo arancione. Contrasse gli addominali, e i muscoli delle gambe, fino ai piedi ben uniti, tutto il corpo una freccia. Cercò il proprio centro di equilibrio.
“Ora.”
Udì Ivan dire qualcosa in russo. Dunya grugnì. Yao poteva sentire il battito del suo cuore sotto le mani. Sbattendo le palpebre contro il sudore, si preparò al suo primo passo.
La tigre si mosse più delicatamente del previsto, lenta e flessuosa, morbida e silenziosa. Si propagò alle mani di Yao, nell'interezza del suo corpo, come un’onda da assorbire e a cui adeguarsi. Allargando le dita a ventaglio, lo fece. Ciuffi di pelo spuntavano tra le falangi.
Su richiesta di Yao, Ivan fece fare a Dunya un giro di pista seguendone il perimetro.
“Al pubblico piacerà” applaudì quando la tigre fu tornata al punto di partenza.
“Lo spero.”
Yao roteò indietro le spalle per scioglierle e si massaggiò le braccia indolenzite. Era un dolore familiare, parte della sua persona quasi come una seconda pelle; il dolore di un buon allenamento. Rivolse a Ivan un sorriso soddisfatto.
“Non è male come inizio.”
“Già. E ora?”
“Pensavo a un salto mortale.”
Ivan si illuminò. “Oh, quello uhm - “ Roteò l’indice su se stesso tre volte.
“Salto mortale triplo” gli venne in soccorso Yao.
“Sì, quello.”
Piegandosi di lato in una serie di rapidi esercizi di stretching, Yao si trovò a sbuffare una risatina. “Dunya è d’accordo? Sei d’accordo?”
Del resto, meglio chiedere direttamente alla diretta interessata. Specchiò i propri occhi scuri in quelli della tigre, cercando in essi una risposta e il permesso. La tigre chinò la testa una volta.
“Lo prendo come un sì. Ora, per favore, non muoverti.”
Per sicurezza attese ugualmente che Ivan ripetesse il comando, camminando all’indietro per prendere la rincorsa. Dopo anni a lavorare su questa pista sapeva esattamente dove posizionarsi per avere il giusto slancio e forza per i propri salti. Le ballerine di seta picchiarono contro la polvere della pista in un ritmo perfetto; venti passi, la distanza calcolata con mesi e mesi di pratica. Al diciannovesimo piegò i polpacci. Al ventunesimo si librava in aria, le ginocchia e le braccia strette al petto, il corpo raggomitolato in una palla. Ci furono squarci di arancione e nero. Un respiro dopo atterrava perfettamente, Dunya ora alle sue spalle, imperturbabile. Yao le rivolse un cenno di approvazione. Riprese la rincorsa. Saltò di nuovo. E di nuovo.
Presto perse il senso del tempo, la sua concentrazione su nulla se non i segnali che gli mandava il proprio corpo, Dunya e Ivan. Provò salti per tutta la mattina, tutti quelli del proprio repertorio, a volte usando la schiena della tigre come base per i propri volteggi, finché Ivan non disse che Dunya era stanca ed era meglio interrompere.
I muscoli in fiamme e lo stomaco che brontolava con la fame tipica di un allenamento particolarmente intenso, Yao non poté che condividere. Doveva ancora ripassare il proprio numero individuale e lo stesso valeva per Ivan e Dunya. Sul fatto che avrebbero dovuto comunque portarli avanti e che non sarebbero stati tolti dal repertorio del circo, il direttore era stato cristallino. Una garanzia, casomai il nuovo spettacolo non fosse stato il successo sperato. La voce era diventata scura nell’ultima parte, l’avvertimento che in quel caso ci sarebbero state spiacevoli conseguenze. Il circo non aveva spazio o tempo per i pesi morti.
Yao di sicuro non lo sarebbe stato. Non poteva permetterselo. Magari Ivan era più al sicuro, una tigre ammaestrata sempre un’ottima risorsa e non così facile da trovare, per quanto non rara quanto un elefante. Ma Yao era un acrobata e qualche acrobata si trovava sempre, qualche giovane sognatore o disperato in cerca di fortuna, disposto a lavorare per un tetto e un tozzo di pane.
Yao si era promesso che non sarebbe mai più tornato a quel livello.
“Domani alla stessa ora?” chiese, mentre Ivan premiava Dunya con qualche grattino molto apprezzato. Ivan annuì. Dopo un momento di indecisione, Yao lo raggiunse. Non si fidava ancora ad accarezzare una tigre senza il suo padrone vicino, ma ora Dunya aveva gli occhi chiusi e faceva le fusa, completamente rilassata. Poteva correre il rischio.
“Grazie” mormorò, strofinando il pelo giusto sotto il mento dell’animale. Quasi non si aspettava più che da un momento all’altro Dunya avrebbe fatto scattare le mascelle facendogli pagare il prezzo della sua sciocca avventatezza. Non tanto comunque da abbassare del tutto la guardia.
Ma dalla sera in cui l’aveva vista incorniciata dalle sbarre in una roulotte puzzolente, i passi avanti erano decisamente stati tanti.