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Fandom: Hetalia

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Prompt: Lama di luce


La cucina era buia, le persiane lasciate apposta accostate per tenere fuori la calura del sole che in piena estate picchiava giù sui tetti delle case, sui ciottoli delle strade e sui cappelli dei pochi rimasti fuori. 

Solo alcune righe di luce decoravano il pavimento di pietra. Poi, d’improvviso, una nuova lama si aggiunse e tagliò la stanza in diagonale, dalla porta non più chiusa dritto fino al tavolo. 



Le braccia sporche di farina fino al gomito, Chiara non alzò nemmeno la testa dall'impasto. 
“Chiudi” ordinò. “O entra il caldo e qua si secca tutto.” 

Senza guardare immerse le dita in una ciotola piena d’acqua per spruzzarne un po’ sul pane. 

“Allora posso entrare?” 


Ci fu un lieve tonfo e Chiara lasciò cadere la pagnotta su cui stava lavorando. Si spiaccicò sul tavolo, sollevando una lieve nuvola di farina. Poi, si costrinse a voltarsi. Ormai non pensava più che avrebbe visto di nuovo la donna che ora schermava il sole nel primo pomeriggio. 


“Che cosa vuoi?” sbottò Chiara, tornando al suo lavoro. Spinse con violenza il palmo della mano nell’impasto, lo tirò e lo ripiegò per poi ribaltarlo e sbatterlo di nuovo sul piano di lavoro. Ancora e ancora.


"Dobbiamo parlare” disse la donna, e nella sua voce c’erano allegria ma anche risolutezza. “È tempo che questa faida finisca. 


Chiara studiò di nuovo la donna in piedi sulla soglia. Stava lì con la medesima risolutezza con cui era fuggita di casa ancora giovinetta. Chiara era sicura che non avrebbe mai più dimenticato quel giorno. Così come, all’epoca, era stata assolutamente certa che sua sorella non non sarebbe sopravvissuta. Nemmeno quando erano arrivate le prime lettere aveva voluto crederci. Poche lettere non provavano nulla. Di certo sarebbero state le prime e le ultime.

Ma le lettere non avevano smesso di arrivare. Alice le aveva mandate durante la guerra e dopo, di solito poche righe per far sapere di essere ancora viva. 

Chiara però non aveva mai risposto, buttando nel fuoco le lettere spesso anche senza aprirle. 
C'erano colpe che non si potevano perdonare.  

L’Alice davanti a lei aveva poco della ragazzina che ricordava. Era adulta ormai, vecchia quasi. Indossava un vestito elegante e i capelli erano tagliati come Chiara aveva visto nelle riviste. Gli occhi, però, erano gli stessi. Solo un po’ più stanchi, gli occhi di chi era stato costretto a crescere di colpo e troppo in fretta. Chiara conosceva bene quegli occhi. Li aveva visti ogni giorno per anni guardandosi allo specchio.


Alla fine il figliol prodigo era tornato a casa. La sorella degenere aveva ritrovato la via. Una parte di lei voleva ancora metterla alla porta, là dove aveva preferito stare per inseguire il suo sciocco amore invece di rimanere con loro qaundo ci sarebbe stato più bisogno di lei. Ma erano anche passati anni. E, da come le aveva scritto, forse Alice era stata quella che aveva sofferto più di tutti. Forse aveva espiato abbastanza.
E poi aveva finalmente fatto lo sforzo di venire di persona.  

Forse, pensò Chiara, c’era speranza di riunire quello che rimaneva della sua famiglia.  Forse, presto, lei avrebbe avuto di nuovo tutti i suoi fratelli riuniti allo stesso tavolo. 
“Ce ne hai messo di tempo. Prendi quel grembiule e vieni ad aiutarmi." 


***



"Lovino è già andato via?" Domandò Alice, tagliando per un'altra ricca fetta di torta. 

Chiara si fermò. Per un attimo aveva dimenticato di quando Alice fosse rimasta tagliata fuori dalla famiglia. Se non fosse stato che lei non aveva mai lasciato la casa paterna, anche quel piccolo legame sarebbe andato perduto.

A differenza di Chiara, il maggiore dei Vargas scriveva ancora alla sorella minore. Si era anche arrabbiato assai quando aveva scoperto che Chiara per mesi aveva fatto sparire le lettere di Alice prima che qualcun altro scoprisse della loro esistenza. 

Chiara ricordava ancora il viso del fratello quando, finalmente tornato a casa dopo anni alla macchia, aveva trovato solo lei a casa. Le aveva chiesto dove fossero finiti gli altri.


E Chiara aveva dovuto dirgli di come Alice fosse fuggita al seguito di quel tedesco. Poco ci era mancato che a Lovino venisse un infarto. Le aveva chiesto anche notizie di Feliciano. Avrebbe dovuto saperne di più lui, in teoria, ma il caso li aveva separati. Via, aveva detto Chiara, recuperando una lettera con un timbro straniero, tedesco pure quello, giusto perché Dio amava l'ironia.

"Siamo rimasti solo noi due” gli aveva detto, in una casa troppo vuota e troppo silenziosa. 


Lovino se ne era andato a sua volta, di nuovo, pochissimi anni dopo. Glielo avevano restituito monco. Ma forse era meglio così. Chiara preferiva pensarlo senza gambe ma da lei, a godersi il sole e il mare, invece che intero a spaccarsi la schiena al buio per ore in una miniera straniera. 


“Giù alla spiaggia” disse Chiara, secca. “Vuole raccogliere le cozze per l’insalata di mare.”

“Io invece ho ricevuto notizie di Feli” continuò Alice, menzionando il terzogenito. “Dice che pensa di aprire un ristorante laggiù.”

Chiara sbuffò, alzando gli occhi al cielo come a chiederne la protezione. 

“Sì. Ho sentito anche io.”

Lasciò che fosse il tono della sua voce a comunicare che cosa ne pensasse di quell’idea. 


Alice rise, aperta e cristallina. 


***


La sera arrivò prima del previsto. Lovino aveva zoppicato dalla spiaggia brontolando contro la sabbia nelle protesi e trascinando due secchi pieni di cozze staccate a viva forza dai loro scogli e ancora palpitanti nel loro guscio. 

Per poco non le aveva mandate a spargersi per tutto l'acciottolato lasciando cadere i due i secchi quando Alice gli si era parata davanti. Allora aveva tirato giù tutti i santi del Paradiso e qualcun altro preso il prestito, l'aveva presa a male parole per avergli fatto venire un tale colpo a quasi fatto sprecare ore di lavoro, e infine l'aveva stretta in un goffo abbraccio. 


“Non osare più farmi prendere un colpo così” mormorò. Si era poi voltato verso Chiara. 


"Apri le finestre, c'è puzza di chiuso" aveva ordinato. La claustrofobia era stato uno degli altri regali del Belgio. 


Non aveva aggiunto altro, borbottando che le cozze andavano pulite e che lui aveva da controllare l'orto e di lasciarlo in pace. Le due sorelle si erano guardate. Alice aveva fatto un nuovo sorriso e per Chiara era stato difficile, molto difficile, non ricambiarlo. 


***


"Aspettiamo qualcun altro?" domandò Alice nel vedere Chiara apparecchiare per quattro. Nel sentire la sorella usare il plurale Chiara sussultò. Si comportava come se non fosse mai andata via. Le venne voglia di dirle di smetterla. Ma si trattenne. La risposta, del resto, arrivò da sola prima che lei potesse rispondere.


Di nuovo una lama di luce tagliò il pavimento. Alice si voltò e così fece Chiara. Si guardarono, un intero discorso in pochi secondi.


"Che c'è? Mai visto un siciliano biondo?" sbottò Chiara. Ma il nuovo arrivato era troppo particolare per non fare domande. 


Sperava almeno che Alice avesse se non il buon senso almeno la buona creanza di trattenersi. Non era sicura di essere pronta per quella conversazione


"Albé, senti, vai a portare questo allo zio. È giù in cortile."

Gli passò un fagotto che odorava di cibo e quasi lo spinse fuori. 


"Be'?" si rivolse poi ad Alice, le mani sui fianchi, come a sfidarla a dire qualcosa. Come se lei non si fosse quasi trovata in una situazione simile. Ma non era un pensiero molto cristiano; né lo era gioire delle disgrazie altrui. 


"Il padre?" 


Be', Alice non era cambiata in fatto di stupidità. Chiara fece spallucce, poi indicò il tavolo con fare eloquente.


"Conti per caso cinque posti? Non ho tempo per domande idiote."


Alice si appoggiò coi gomiti al tavolo. Parve diventare molto pensierosa, con una ruga di concentrazione proprio in mezzo alla fronte. Magari cercava di formulare un pensiero sensato per non pesare sulla sua povera sorella più di quanto non avesse già fatto, magari c'era speranza.


"Sai almeno dov'é?" 


O magari no. Chiara pensò che fosse un buon momento per mettersi ad affettare le verdure. 

"Andato. Morto, probabilmente. Non è mai tornato, quindi immagino sia morto."


O quello, oppure non era diverso da tanti altri, che avevano sì le loro fidanzate di là dal mare, ma non per quello si facevano troppo remore a spassarsela con le ragazze del posto. Chiara li ricordava ancora e bene, tutti quei soldatucci in fila a farle la corte e lei che quasi nemmeno li vedeva. 

Era servito il più sorridente, il più idiota di tutti a farla cadere. Le venne da ridere, una risata amara.


"Una volta! Ma a quanto pare è bastato."


Alice non disse nulla. Chiara ringraziò silenziosamente il Cielo per quello. Si chiese poi se la sorella la invidiasse, se pensasse a come anche lei per poco si fosse trovata in una simile situazione, a crescere il figlio di un padre straniero e scomparso. Era buffo, quanto, nonostante tutto, il Destino aveva voluto renderle simili. 


"Com'era?"


Chiara versò le verdure nell'insalatiera e si mise a pulire il pesce per prendere tempo. "Che domande sono?" borbottò. Le bastava Alberto a chiederle sempre di quel padre misterioso di cui Chiara si rifiutava di parlare e più lei si chiudeva, più lui insisteva. In quello aveva preso tutto da suo padre. Ora ci si metteva anche Alice.


Alfred le sarebbe piaciuto.


"Era un bel ragazzo."


***


Mangiarono insieme. Poi bevvero il caffè e parlarono a lungo. Avevano molte cose da raccontare. Non dissero tutto, era troppo presto per rivelare alcuni segreti e scoprire certe ferite.  

Ma parlarono e fu quasi come se nessuno se ne fosse mai andato. Poi, però, a Chiara bastava guardarsi attorno per capire quanto fosse sciocca quella fantasia. Le bastava vedere le protesi di Lovino o il viso di suo figlio seduto all'altro capo del tavolo. Le bastava guardare Alice.


"Pensi di fermarti?"


C'era un pizzico di accusa nella domanda, anche se Chiara non avrebbe saputo dire se stesse rimproverando la sorella in caso di risposta affermativa o negativa. 


"Solo fino a domani. Poi devo tornare al lavoro."


Eccola, a tornare a visitare la famiglia dopo anni e non prendere nemmeno una settimana di vacanza per fare le cose per bene. Fosse rimasta più a lungo, un mese magari, si sarebbe persino potuto pensare di convincere Feliciano a fare un salto giù. 

Invece, pareva che non ci fosse verso di riunire tutti i fratelli in una volta.


Chiara ignorò la vocina su come, se fosse stato per lei, sarebbe sempre mancato un posto alla tavola. Ora che Alice se l'era ripreso, le veniva da rimproverarla per non averlo fatto prima. O per non avere avvisato. Si sarebbero preparati meglio se lo avesse fatto. 



"Allora ti preparo la tua stanza."


In tutti quegli anni nessuno l'aveva toccata. Per molto tempo Chiara si era persino rifiutata di avvicinarsi, convinta che la pazzia avrebbe potuto contagiarla. Alla lunga era diventata tanto un'abitudine che Chiara non ci aveva più pensato, la stanza quasi del tutto cancellata dalla sua memoria.


"Ho già preso una stanza in albergo."


"E domani passi a dire che hai cambiato idea" replicò Chiara col tono di chi non avrebbe accettato repliche. Far dormire sua sorella in albergo quando c'era una stanza già a disposizione, che assurdità? 



***


Il giorno dopo, Chiara accompagnò Alice alla stazione di primo pomeriggio. Era arrivata solo con la borsetta. Ora portava due valigie, una per mano e sotto braccio reggeva una terza borsa. Si sentiva il profumo del pane fresco, l'odore del formaggio, e il lieve tintinnare dei barattoli di olive e pomodori secchi avvolti nei panni per non farli ammaccare. Era fuggita senza nulla se non il vestito, le scarpe che indossava e le maledizioni che Chiara le aveva lanciato dietro sul piazzale della chiesa del paese. Ora partiva carica di cibarie che in fondo erano la più sincera forma di affetto.



In piedi sulla banchina Alice aprì la bocca e chissà cosa avrebbe voluto dire, ma Chiara scosse la testa e la mise a tacere. "Non importa." 


Se ci aveva messo una pietra sopra, ormai era inutile andare a rivangare il passato, no?


“Grazie” disse allora Alice e la strinse in un abbraccio, senza remore, senza chiedere il permesso, come da bambina quando gettava le braccia al collo di tutti. Gli occhi di Chiara pizzicarono. Vent’anni erano stati lunghi, molto lunghi. Sollevò debolmente le braccia per ricambiare la stretta. 


Guardò sua sorella salire sul treno, trascinando le valigie che contenevano tutte un pezzo di casa. La osservò sporgersi dal finestrino e salutare finché non fu un puntino all'orizzonte. 


La prossima volta che l'avrebbe accolta alla stazione, sarebbero stati tutti e quattro. 




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